top of page

Auschwitz, dove il tempo si ferma

Nel campo di concentramento simbolo dell'Olocausto, un luogo sospeso dove gli anni sembrano non essere mai trascorsi

La polvere del sentiero si alza fitta, trascinata via dal vento. Nel silenzio surreale, spezzato da qualche timida e sporadica parola, il pensiero corre per un istante a quelle note che han sempre avuto l'effetto di un pugno allo stomaco, ma lì hanno il potere di colpire un po' di più: "Ad Auschwitz c'era la neve, il fumo saliva lento, nel freddo giorno d'inverno, e adesso sono nel vento". A fine luglio la neve che canta Guccini, non c'è, eppure la desolazione è perfettamente la stessa. Tutto sembra fermo a ottant'anni fa, quando un complesso di vecchie caserme dell'esercito polacco divenne lo scenario perfetto per la "soluzione finale". Quella "soluzione" che venne perseguita con un'accuratezza maniacale della quale il campo, ancora oggi, conserva i sanguinosi segni e le testimonianze dolorose. Oggi lì, dove furono sterminati più di un milione di prigionieri, sorge il "Memorial and Museum Auschwitz Birkenau".




Auschwitz è un luogo che prende forma nel momento in cui vi metti piede. Sai che esista, sai cosa abbia rappresentato, sai cosa sia successo lì. Eppure fino ad un istante prima di incrociare la scritta "Arbeit macht frei", lo percepisci come un luogo surreale, quasi come se non fosse realtà, se la sua esistenza sia confinata in un libro di storia o in una pellicola cinematografica. Ma Auschwitz esiste, Auschwitz è realtà. Ha coordinate geografiche, consistenza tangibile, prove inconfutabili. Tutto è rimasto esattamente come nel 1945, quando l'Armata Rossa varcò quel cancello che oggi milioni di visitatori superano, mostrando al mondo la crudeltà più nuda, dura e spietata. Camminando tra i sentieri, ancora ruvidi di polvere e sassi, si vedono i "Block", le "casette" di mattoncini che formavano quello che era il centro amministrativo dell'intero complesso. Qui furono rinchiusi perlopiù intellettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici, morti a causa delle assurde condizioni di vita, le inesistenti norme igienico-sanitarie, le impossibili condizioni di lavoro ma anche fame, malattie, esprimenti scientifici, percosse, fucilazioni o nelle camere a gas. E proprio questa, in uno dei lati del complesso - quasi come se il suo ruolo fosse marginale nella logica assassina di Auschwitz - è rimasta esattamente come era nel 1940. Nello stesso edificio, forni crematori. Ciò che stupisce, di questo blocco, della scritta "Arbeit macht frei" e del muro dove i prigionieri venivano fucilati, nei pressi del "Block 11", è l'incredibile piccolezza. Ciò che nell'immaginario comune siamo portati a pensare come fisicamente grande, imponente, largo o adeguatamente proporzionato alla portata di ciò che realmente rappresentasse nel campo, in realtà ha dimensioni - in termini di spazio - particolarmente ridotte.





Se tutto, esternamente, sembra rimasto così come era ottant'anni fa, nei vari "Block" il campo di sterminio ospita mostre che narrano una storia le cui tracce comuni sono quelle di sangue, dolore, lacrime. Storie di deportazione, morte e Olocausto, declinate seguendo le linee dei vari Paesi che ne sono stati toccati. Un "padiglione" per l'Olanda, uno per la Francia, uno per il Belgio e così via. Il passato, poi, diventa tutt'ad un tratto tangibile, quasi a ricordare che dati, numeri e testimonianze possono tramutarsi all'improvviso in oggetti, prove materiali di ciò che è stato e non sarebbe dovuto essere. In alcuni "blocchi", tutto è rimasto così come era. Come lo studio dove i medici eseguivano esperimenti scientifici e iniezioni letali. Attraverso un vetro si possono ancora scorgere una scrivania, una sedia, un camice apparentemente bianco seppur macchiato delle colpe più infime, alcune siringhe e strumentazione varia. Nel "Block 11", conosciuto anche come "blocco della morte", c'era la prigione del campo, il bunker "Kommandanturarrest". Proprio qui fu eseguita la prima gasazione di massa con Zyklon B. E ancora, in vari blocchi, stipati come oggetti alla rinfusa, attraverso un vetro si possono osservare occhiali, stampelle, scarpe, vestiti. Migliaia e migliaia. Forse milioni.




Il campo di Auschwitz dista 3 km da quello di Birkenau, anche noto come Auschwitz II. A Birkenau aveva sede il vero e proprio campo di sterminio, l'immenso lager dove oltre un milione di persone persero la vita. Qui arrivavano i "treni della morte", gestiti dal sistema ferroviario nazionale "Deutsche Reichsbahn" controllato dalla Germania nazista. Il "Memorial and Museum Auschwitz Birkenau" ha sede ad Auschwitz I, il campo principale: Birkenau, invece, conserva ancora intatte le capanne dove decine e decine di persone erano costrette a vivere in condizioni igienico-sanitarie inconcepibili, stipate come animali da mandare al macello.




Auschwitz lascia attoniti. Senza parole. Con gli occhi lucidi e la sensazione di vuoto. Ci si sente impotenti, piccoli, senza alcun potere e con tante responsabilità. Si ha la sensazione di essere persi, spaesati, catapultati in qualcosa di più grande, di troppo grande. Ci si fa domande. Sì, perché le domande, ad Auschwitz, si moltiplicano. Ogni punto interrogativo si amplifica, trasformandosi nella desolante consapevolezza che alcuni "perché?" non troveranno mai una risposta. Eppure, nello stesso momento in cui si rinuncia a cercare di dare un senso a qualcosa che un senso non avrà mai, si comprende che tanto dolore non può andare perduto e che deve diventare un seme per costruire un domani migliore. Perché il passato non può essere cambiato, il futuro sì.


Informazioni utili


Visitare Auschwitz è possibile in gruppo o individualmente. Se si sceglie di farlo in tour, ci sono degli orari da rispettare secondo la propria lingua madre: la visita è infatti guidata. Se invece si opta per quella individuale, è possibile prenotare (gratuitamente) solamente dalle 17.15 in poi (il campo chiude alle 19). I biglietti - per entrambe le tipologie - sono disponibili sul sito: è consigliato prenotare con largo anticipo, essendoci ogni giorno migliaia di visitatori. Anche Birkenau, a 3 km dal campo principale, si può visitare: da Auschwitz I partono ogni cinque minuti delle navette che collegano le due strutture gratuitamente.

bottom of page